In realtà pare che gli arabi avessero conosciuto questo giuco dagli indiani, che con molta probabilità lo incentarono più di 1500 anni fa.
Di certo non era noto ai popoli dell'antica Europa. I romani tuttavia usavano una tavola per il gioco detto dei "latrunculi" o "ludus latrunculorum" o più semplicemente "latrones". Latruculus deriva dal diminutivo di latro.
Il tavoliere sembrerebbe assomigliare a quello degli scacchi, ma probabilmente il gioco si avvicina più a quello della dama; deriverebbe poi da alcune varianti di giochi già noti ai greci fin dal tempo di Omero (petteia, pessoí, psêphoi o pente grammaí). Patteia deriva da pessos, pl. pessoi, che indicava le pedine. In realtà già prima della nascita di questo gioco, il termine poteva indicare le pedine di un gioco in generale. Omero utilizza questo termine per indicare i pretendenti di Penelope (Οδύσσεια,1,107: "πεσσοῖσι προπάροιθε θυράων θυμὸν ἔτερπον"). Questi giochi. i greci li giocavano con una damiera, composta da 42 quadrati, anche se non sappiamo con certezza la posizione che le pedine occupavano su di essa. Siha una testimonianza di tavoliere con 12 pezzi disposti disordinatamente, in un gruppo di terracotta ritrovato da Conrad Bursian, filologo e archeologo tedesco dell'ottocento, nel quale appare un ragazzo e una donna attorniati dal altri individui mentre giocano questo gioco. Si ha poi un'altra rappresentazione in unanfora datata 530-525 a.C, di Εξηκίας, ceramografo che realizzò principalmente ceramica a figure nere, alle quali in quell'epoca cominciarono ad affiancarsi quelle a figure rosse, che poi avrebbero scalzato le prime. Come vasaio e come pittore, Exekias fu un innovatore ed immaginò nuovi temi, un esempio è proprio il pezzo conservato nel museo etrusco-gregoriano dei musei vaticani.
Quest'anfora rappresenta Aiace e Achille concentrati in un gioco da tavolo. Non sappiamo certezza di che gioco si tratti; per alcuni potrebbe essere astrangolo, un gioco a 4 dadi, ricavati dalle ossa di capre o montoni (in anatomia umana l'astragalo è un osso appartenente al tarso del piede, che si articola in alto con le ossa della gamba e in basso con il calcagno ed ha una forma grosso modo cubica). Vi si leggono le parole:"Eksekias m'epoiesen" nella forma del trimetro giambico.
Potrebbe trattarsi tuttavia anche di petteia; anche Erodoto parla di questo gioco nelle Istorie,che i Lidi avrebbero praticato come distrazione contro la fame. Successivamente il giuoco petteia venne chiamato polis, le cui regole sono descritte nell'Onomastikon di Giulio Polluce, retore e lessicografo greco del II secolo d.C. Quest'opera, di cui restano estratti considerevoli, è dedicata all'imperatore Commodo, che fu suo allievo ed appare come un elencazione di vocaboli e sinomini, con exempla ed explicationes; è particolarmente noto il libro IV, nel quale si parla delle maschere e dei costumi greci; l'onomastikon infatti è soprattuto una fonte preziosa per la storia del teatro greco, ma anche, come ci dimostra il riferimento alle regole del gioco, per il folklore e la tradizione in generale. L'oratore ci spiega che i giocatore devono portare la pedina dall'altra parte della damiera nella propria città, ecco perchè la patteia viene poi chiamata polis. Se la pedina viene circondata da altre dell'opposto colore, può essere eliminata.
Pare che anche Aristotile nella Politica accenna a questo gioco in senso figurativo, parlando degli apolidi, i greci cacciati dalla citàà di Atene, che sono paragonati alle pedine rimaste isolate da quelle dello stesso colore, le quali devono aspettarsi grandi tribolazioni. Ottima metaforo socio-filosofica del ruolo della società civile, se si ricorda quando pocanzi detto sul destino della pedina circondata. (si veda comunque F.Barone, Ludosofia, Edizioni Interculturali, 2005).
Aristotele usa la figura del Gioco della Citta anche in senso sociologico, il pezzo senza legami in rapporto alla sua concezione dell'uomo come animale politico, cioè come animale gregario.
L'apolis o è un meschino o è un superiore all'uomo, anche se è senza famiglia, athemistos cioè che ignora le regole della vita civile, quindi senza legge, infine senza focolare.
Oltre a questo gioco i greci praticavano anche quello della Kubeia,nel quale si adoperavano anche i dadi. Come sostiene l'antichista Oswyn Murray, questa damiera era priva di quadrati e con sole linee.( si veda sul punto H.S.R.Murray, "Giochi del mondo antico", ed.Oxford e "storia dei giochi da tavoliere, eccetto gli scacchi" ed.Oxford, entrambi in inglese).
Sarebbe opportuno a questo punto anche accennare all'antico Egitto; presso gli egiziani, esisteva giochi con la tavola damiera e le pedine, lo scavo di El Mahash ha portato alla luce una damiera 3x6 con pedine rotonde, databili al 5000 a.C., periodo predinastico.
la tavola è perciò divisa in 3 linee orizzontali. Questi giochi da tavola dell'antico Egitto sono stati spesso paragonati alla dama, ma questo avveniva per un errore terminologico (Jeu de dames o draughts) derivante da inesattezze della descrizione. Questi giochi avevano infatti in comune solo la tavola e le pedine. Dice Murray ancora che questi erano solo giochid corsa e che l'unica complicatezza fosse data dall'usare la damiera con i quadrati segnati. Giochi simili a questi esistevano e sono stati ritrovati in Mesopotamia, Creta, Asia Minore.
Appare giusto ciò che dice Huizinga:«Il gioco è più antico della cultura, perché il concetto di cultura, per quanto possa essere definito insufficientemente, presuppone in ogni modo una convivenza umana, e gli animali non hanno aspettato che gli uomini insegnassero loro a giocare. ... Gli animali giocano proprio come gli uomini; tutte le caratteristiche fondamentali del gioco sono
realizzate in quello degli animali» (J. Huizinga, Homo ludens, Amsterdam, 1939, trad. Ital. 1946, Einaudi Edit. Torino).
Per continuare, durante la quinta dinastia in Egitto appaiono anche le damiere 6x6, ma non si tutt'oggi in grado di stabilire le connessioni fra questo antico gioco e la dama, della cui storia qui non ci occupiamo, ne tantomeno appaio possibili implicazioni con gli scacchi.
Tra i romani si giocava a lutrunculi, l'abbiamo detto all'inzio ed il primo a menzionarli è Varrone nel decimo libro del de lingua latina (ut in tabula solet in qua latrunculis ludunt).
Lutrunculi significa come direbbero gli inglesi, robber-soldiers, cioè mercenari. La tavola pare che fosse 8x8.
Sulla storia del gioco da tavola nell'antichità non mi sembra utile dire nulla di più. Aspettare un prossimo post sul seguito della storia.
Il tavoliere sembrerebbe assomigliare a quello degli scacchi, ma probabilmente il gioco si avvicina più a quello della dama; deriverebbe poi da alcune varianti di giochi già noti ai greci fin dal tempo di Omero (petteia, pessoí, psêphoi o pente grammaí). Patteia deriva da pessos, pl. pessoi, che indicava le pedine. In realtà già prima della nascita di questo gioco, il termine poteva indicare le pedine di un gioco in generale. Omero utilizza questo termine per indicare i pretendenti di Penelope (Οδύσσεια,1,107: "πεσσοῖσι προπάροιθε θυράων θυμὸν ἔτερπον"). Questi giochi. i greci li giocavano con una damiera, composta da 42 quadrati, anche se non sappiamo con certezza la posizione che le pedine occupavano su di essa. Siha una testimonianza di tavoliere con 12 pezzi disposti disordinatamente, in un gruppo di terracotta ritrovato da Conrad Bursian, filologo e archeologo tedesco dell'ottocento, nel quale appare un ragazzo e una donna attorniati dal altri individui mentre giocano questo gioco. Si ha poi un'altra rappresentazione in unanfora datata 530-525 a.C, di Εξηκίας, ceramografo che realizzò principalmente ceramica a figure nere, alle quali in quell'epoca cominciarono ad affiancarsi quelle a figure rosse, che poi avrebbero scalzato le prime. Come vasaio e come pittore, Exekias fu un innovatore ed immaginò nuovi temi, un esempio è proprio il pezzo conservato nel museo etrusco-gregoriano dei musei vaticani.
Quest'anfora rappresenta Aiace e Achille concentrati in un gioco da tavolo. Non sappiamo certezza di che gioco si tratti; per alcuni potrebbe essere astrangolo, un gioco a 4 dadi, ricavati dalle ossa di capre o montoni (in anatomia umana l'astragalo è un osso appartenente al tarso del piede, che si articola in alto con le ossa della gamba e in basso con il calcagno ed ha una forma grosso modo cubica). Vi si leggono le parole:"Eksekias m'epoiesen" nella forma del trimetro giambico.
Potrebbe trattarsi tuttavia anche di petteia; anche Erodoto parla di questo gioco nelle Istorie,che i Lidi avrebbero praticato come distrazione contro la fame. Successivamente il giuoco petteia venne chiamato polis, le cui regole sono descritte nell'Onomastikon di Giulio Polluce, retore e lessicografo greco del II secolo d.C. Quest'opera, di cui restano estratti considerevoli, è dedicata all'imperatore Commodo, che fu suo allievo ed appare come un elencazione di vocaboli e sinomini, con exempla ed explicationes; è particolarmente noto il libro IV, nel quale si parla delle maschere e dei costumi greci; l'onomastikon infatti è soprattuto una fonte preziosa per la storia del teatro greco, ma anche, come ci dimostra il riferimento alle regole del gioco, per il folklore e la tradizione in generale. L'oratore ci spiega che i giocatore devono portare la pedina dall'altra parte della damiera nella propria città, ecco perchè la patteia viene poi chiamata polis. Se la pedina viene circondata da altre dell'opposto colore, può essere eliminata.
Pare che anche Aristotile nella Politica accenna a questo gioco in senso figurativo, parlando degli apolidi, i greci cacciati dalla citàà di Atene, che sono paragonati alle pedine rimaste isolate da quelle dello stesso colore, le quali devono aspettarsi grandi tribolazioni. Ottima metaforo socio-filosofica del ruolo della società civile, se si ricorda quando pocanzi detto sul destino della pedina circondata. (si veda comunque F.Barone, Ludosofia, Edizioni Interculturali, 2005).
Aristotele usa la figura del Gioco della Citta anche in senso sociologico, il pezzo senza legami in rapporto alla sua concezione dell'uomo come animale politico, cioè come animale gregario.
L'apolis o è un meschino o è un superiore all'uomo, anche se è senza famiglia, athemistos cioè che ignora le regole della vita civile, quindi senza legge, infine senza focolare.
Oltre a questo gioco i greci praticavano anche quello della Kubeia,nel quale si adoperavano anche i dadi. Come sostiene l'antichista Oswyn Murray, questa damiera era priva di quadrati e con sole linee.( si veda sul punto H.S.R.Murray, "Giochi del mondo antico", ed.Oxford e "storia dei giochi da tavoliere, eccetto gli scacchi" ed.Oxford, entrambi in inglese).
Sarebbe opportuno a questo punto anche accennare all'antico Egitto; presso gli egiziani, esisteva giochi con la tavola damiera e le pedine, lo scavo di El Mahash ha portato alla luce una damiera 3x6 con pedine rotonde, databili al 5000 a.C., periodo predinastico.
la tavola è perciò divisa in 3 linee orizzontali. Questi giochi da tavola dell'antico Egitto sono stati spesso paragonati alla dama, ma questo avveniva per un errore terminologico (Jeu de dames o draughts) derivante da inesattezze della descrizione. Questi giochi avevano infatti in comune solo la tavola e le pedine. Dice Murray ancora che questi erano solo giochid corsa e che l'unica complicatezza fosse data dall'usare la damiera con i quadrati segnati. Giochi simili a questi esistevano e sono stati ritrovati in Mesopotamia, Creta, Asia Minore.
Appare giusto ciò che dice Huizinga:«Il gioco è più antico della cultura, perché il concetto di cultura, per quanto possa essere definito insufficientemente, presuppone in ogni modo una convivenza umana, e gli animali non hanno aspettato che gli uomini insegnassero loro a giocare. ... Gli animali giocano proprio come gli uomini; tutte le caratteristiche fondamentali del gioco sono
realizzate in quello degli animali» (J. Huizinga, Homo ludens, Amsterdam, 1939, trad. Ital. 1946, Einaudi Edit. Torino).
Per continuare, durante la quinta dinastia in Egitto appaiono anche le damiere 6x6, ma non si tutt'oggi in grado di stabilire le connessioni fra questo antico gioco e la dama, della cui storia qui non ci occupiamo, ne tantomeno appaio possibili implicazioni con gli scacchi.
Tra i romani si giocava a lutrunculi, l'abbiamo detto all'inzio ed il primo a menzionarli è Varrone nel decimo libro del de lingua latina (ut in tabula solet in qua latrunculis ludunt).
Lutrunculi significa come direbbero gli inglesi, robber-soldiers, cioè mercenari. La tavola pare che fosse 8x8.
Sulla storia del gioco da tavola nell'antichità non mi sembra utile dire nulla di più. Aspettare un prossimo post sul seguito della storia.
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